La crisi finanziaria ha svelato quella delle teorie gestionali

 

Di Carlo Pelanda (23-9-2008)

 

 

Questa rubrica ha adottato la seguente formula, qui semplificata, per valutare le soglie di resistenza alla crisi innescata nel 2007 dall’insolvenza dei mutui americani finanziarizzati:  K(Q) – Z(M)  = X. Dove X è la condizione di ribilanciamento  degli squilibri. Sotto un dato valore il sistema va in oscillazione catastrofica. Z è l’intensità della forza destabilizzante. M né il (de)moltiplicatore psicologico. K è la capacità massima quantitativa di bilanciamento, per esempio la liquidità disponibile. Q è una misura di qualità della gestione che amplifica o riduce gli effetti di K. L’esito della crisi dipende dalla quantità di risorse equilibranti combinata con l’efficacia della gestione, meno l’intensità della destabilizzazione sia tecnica sia psicologica. Z fu stimato tra i 600 miliardi e 1,2 trilioni di dollari. Ma l’amplificazione psicologica (M) poteva far implodere il sistema bancario e la finanza globale. Per arrivarci, tuttavia, doveva superare tre dighe: autoequilibrio del mercato; capacità del prestatore di penultima istanza (Banche centrali); garanzia di ultima istanza (Stati). Quando l’ondata di sfiducia passò la prima, fu stimato che la seconda e la terza avessero una capacità teorica K di coprire i buchi fino a 7 trilioni di dollari. Per questo, da un anno, il rubricante sostiene che l’intensità della crisi non eccederà i mezzi per contenerla. Infatti. Ma come mai si è arrivati alla soglia della catastrofe?

La risposta sta nei moltiplicatori e non nei fattori della formula, cioè nelle funzioni di costruzione o depressione della fiducia. La qualità (Q) della gestione è stata insufficiente e l’amplificazione catastrofista (M) eccessiva. L’ipotesi è che governi, Banche centrali, media e le teorie economiche gestionali non siano stati adeguati a governare un mercato finanziarizzato. Hanno mostrato idee e stili dell’era pre-finaziaria dove la produzione della fiducia era meno complessa. Per esempio, è ovvio che nell’era delle monete fiduciarie lo Stato sia il garante di ultima istanza e quindi parte integrata del sistema finanziario. Ma il governo statunitense ha tardato gli interventi anche in base all’antica ideologia di incompatibilità tra Stato e mercato. Segno di confusione, poi, i molti annunci di funerale del libero mercato quando in realtà è stato questo ad incorporare lo Stato. Troppi politici e media hanno comunicato in modi sfiducianti. In generale, la crisi è stata amplificata da una gestione che ha sottovalutato i requisiti di fiducia nell’era della finanziarizzazione. L’economia si risolleverà, ma la ripresa potrebbe essere a rischio per la crisi delle teorie.

Carlo Pelanda